Essere diversi: un problema o un privilegio?

Sempre più spesso capita di sentire genitori che affermano che non è giusto che i bambini possano sentirsi diversi dai loro coetanei.

Anzi, a dire la verità, non ho mai sentito un'espressione contraria.

E questo viene affermato sia per giustificare l'acquisto al figlio di sei anni di un tablet piuttosto che di un cellulare "economico però, l'ho pagato solo 100 euro", sia per avallare la scelta di fargli mangiare quello che loro stessi definiscono schifezze:  "sì, lo so che la Coca Cola fa male (o la merendina confezionata o la festa organizzata al McDonald) ma non voglio che si senta diverso dagli altri bambini".

Ora penso che occorra fare qualche riflessione in merito:

Il bisogno di essere uguali agli altri appartiene a tutti i bambini, diciamo dai 5-6 anni in su, fino all'adolescenza compresa (e purtroppo anche a molti adulti che forse tali non sono a tutti gli effetti).

Ora chiedo a chi legge: chi è che non si è sentito diverso da bambino e da adolescente?

Per quanto fossimo corredati di tutti gli attributi per entrare a pieno titolo nel gruppo (che sia stato il guardare"quel" cartone animato in televisione, piuttosto che possedere il jeans di quella marca particolare o l'andare in quel locale "dove vanno tutti") ognuno di noi si è sentito in qualche modo diverso dagli altri.

E, se non bastasse la nostra memoria a far fede di questa condizione universale, ci sono le favole e i miti di tutti i tempi a ricordarcelo (da "Il brutto anatroccolo" a"Cenerentola" da Ulisse a Psiche per citare i primi che mi vengono in mente).

Si potrebbe banalmente dire che questo accade perché ognuno di noi "è" diverso dagli altri, e anche perché gli altri sono sempre "altro da sé" e quindi inesorabilmente diversi da sé.

Ma se anche questa non fosse una condizione universale cosa ci sarebbe di male o di sbagliato nell'essere diversi?

Se si è appresa la lezione che le favole e i miti recano con loro, dovrebbe essere semmai il contrario: essere pecora tra le pecore non sembrerebbe un traguardo a cui mirare in nessun caso. Mentre essere colui o colei che porta qualcosa di nuovo nel gruppo è il dono dell'"eroe" proprio perché il nuovo, il "diverso" arreca vantaggio a tutti.

Ma come si fa a realizzare il processo dell'individuazione del Sé (così ben descritto da Jung), a esprimere l'unicità di cui ognuno di noi è espressione, se da bambini ci è stato inculcato il messaggio contrario?

Ed ecco che ci troviamo ancora una volta con un tipo di pensiero collettivo che è stato indotto subdolamente dall'alto affinché ognuno di noi diventi contemporaneamente l'addestratore e il cane da guardia dei propri figli e avvantaggi così il lavoro di chi vuole il gregge obbediente e omogeneo, certo più facile da dirigere verso l'ovile (o il burrone), piuttosto che individui che pensino e agiscano autonomamente e in piena consapevolezza.

Detto questo aggiungo un'ultima considerazione, quella che mi lascia più perplessa: come mai anche le persone più "sveglie", quelle orgogliose di aver fatto una scelta diversa come per es. l'aver buttato la televisione o la scelta di mangiare vegano per motivi etici e/o salutistici, annullano questa stessa scelta quando si tratta dei propri figli accampando lo stesso banale e ottuso pregiudizio "mio figlio deve sentirsi uguale agli altri" e aggiungendo poi "quando sarà grande potrà scegliere".

A parte la premessa che abbiamo visto fallace (e cioè che non poggia su nessun principio etico o psicologico) ci si domanda: ma come farà l'adulto di domani a scegliere se i genitori non gli hanno insegnato quando era bambino la capacità e l'orgoglio di pensare con la propria testa e di agire di conseguenza? E come avrà potuto introiettare valori come la coerenza, l'aderenza al sé, il coraggio? Come potrà infine far sì che questo diventi un mondo migliore per tutti e non continui invece sulla stessa strada battuta da secoli (quella della violenza, della prevaricazione sui deboli, dell'egoismo e dell'opportunismo)?

C’è sicuramente da rimpiangere il vecchio buon senso dei nostri genitori che, alla nostra richiesta di avere un tale oggetto o di fare una determinata cosa “perché Angela o Carlo o Francesca lo ha – o lo fa” rispondevano imperturbabili “Non me ne importa niente di quello che fa Angela, Carlo, Francesca, tu fai quello che dico io e basta” o ancora “E se Angela, Carlo, Francesca si buttano di giù tu li segui?”